27 novembre 2011

Popolo bue

Con una definizione di semplice e definitiva eleganza, il filosofo Carlo Galli ha concluso che la comunità, anzi, die Gemeinschaft, si è trasformata inn una gamma di immense platee televisive "implose" nella privacy. In queste poche parole c'è la sentenza che condanna alla sua condizione amorfa tutta la società italiana di oggi. Anziché una collettività strutturata, ecco allora una moltitudine dispersa, che si addensa negli appartamenti della sottoborghesia; un formicolio umano visibile nei condomini popolari, una "nuova classe" priva di connotati, che trova unico metro di giudizio gli standard televisivi e lo stile da sfoggiare in studio. E allora sarà difficile mobilitare i cittadini in vista di una trasformazione, di un cambiamento più o meno accentuato, di un complesso di riforme. La risposta implicita è: preferisco stare nella mia favela, e continuare a consumare beni materiali e immaginari secondo i parametri di reddito che mi sono concessi.

Edmondo Berselli, Sinistrati, Mondadori.

18 novembre 2011

Una passeggiata serale

L'autobus fa all'ultimo momento una deviazione ripetto alla mia meta e mi depone nella piazza della vecchia pretura. Non ci passo da tempo, e mi guardo attorno, appena sceso dal predellino del mezzo. Siamo alle solite: come se fossero fogli trasparenti, mi si sovrappongono alla scena attuale ricordi di tanto tempo fa, e rivedo con gli occhi della mente me ragazzino, con i miei compagni di scuola, molte giornate di sole, e tra queste qualcuna uggiosa, e immagini del vecchio stazionamento delle autolinee provinciali,  quelle cafoniere blu dove i vecchi si mettevano a parlare con noi, i femminielli ci facevano una corte discreta, e noi scrivevamo a penna il nome della nostra amata sui sedili in finta pelle.  Poi ancora nella piazza buia immagini della trattoria, che ora non c'è più, dove nelle sere invernali  in un pentolone ribolliva il polpo col pepe, e questo brodo i lavoratori notturni lo sorbivano sotto la luce delle alogene, per scaldarsi. Mi incammino, a piedi, verso la piazza della stazione centrale, e mi imbatto in quello stesso vicolo dove andavamo subito dopo scuola: c'era un laboratorio di pasticceria, e con 1000 lire potevamo comprare una pizzetta, ed il diritto di guardare il vecchio pasticciere farcire e arrotolare i cornetti, mentre chiacchierava con noi e ci prendeva  a male parloe. Nanche questo laboratorio di pasticceria esiste più, ma accanto alla saracinesca abbassata ci sta ancora una vecchia edicola sacra, con una pala dipinta rappresentante Sant'Antonio, dipinto con tratto fresco e devoto. La osservo, come si osseravno le rughe di un vecchio amico, ma mi viene il magone a vedere soffocato quel legno venerando tra auto parcheggiate e sale bingo, e vado via.

***

Faccio pochi passi e incontro un uomo, lo sguardo miope nei suoi occhi da criceto, nascosti dietro occhiali troppo spessi. E' sorprendente come certi uomini possano guardarti con aria rapace, come se tu fossi una cosa. Questo si capisce subito che vorrebbe scoparmi, da come mi punta col viso di fiera dal momento in cui mi vede per la prima volta fino al momento in cui lo supero a passo svelto cercando lo sbocco nella piazza della stazione centrale. Credo che se cascassi per terra all'improvviso, colto da un malore, lui mi slaccerebbe i pantaloni. Spesso le donne mi hanno detto che il mio sguardo è come un abbraccio, e che nel mio sguardo si sono sentite raccolte: ma erano donne che inclinavano verso me, e che in qualche modo non possono essere considerate attendibili. Forse poetavano alla loro maniera, dicendomelo. Mi chiedo, invece, cosa pensino del mio sguardo le donne che incrocio casualmente in metropolitana, o cui cedo il passo sul marciapiede. Io non vorrei mai guardare nessuno come a volte mi guardano certi uomini.

***

Questo è lo stesso marciapiede che di notte percorrevano Ermanno Rea ed Enzo Striano, prima di scoprirsi entrambi scrittori. Facevano questo marciapiede e parlavano tutta la notte, accompagnandosi alternatamente l'uno a casa dell'altro, e viceversa. Da una piazza grande all'altra, lungo il corso. Io non ho un amico cui parlare tutta la notte. Non ho un amico con cui  consumare la stada aiparlare di ciò che non va, non ho un amico col quale passeggiare senza meta, buttando via la notte e ricevendo in cambio ricccheza. Arrivo finalmente nella piazza della stazione, e quattro prostitute aspettano accanto ad un'edicola. Una mi chiama "bello", io mi giro, poi vado per i fatti miei. Sento risate dietro di me.

***

Sono sul terrapieno ferroviario, accanto alla collina della grotta. Mi allontano dalla banchina, lungo i binari, per vedere meglio. Di fronte, nel piccolo parco ci sono tenere lampade la cui luce viene a tratti oscurata dalle piante mosse dal vento: il parco è vivo ma dorme, e quel vento lieve è il suo russare. Il buio lo protegge, e io guardo meglio: questa è la sua ultima magia. Stasera il gatto non c'è, vedi? e siamo solo in due, io e la costellazione d'Orione, a salutarti, Virgilio.

14 novembre 2011

Poche ore della notte

Resoconto di poche ore della notte passate in un pronto soccorso, aspettando le analisi di mia madre, che non si è sentita bene:
- ragazza perde gravidanza di 4 mesi per banale incidente domestico, familiari ululanti, il ragazzo le urla "è sempre colpa tuaaaa!" e prende a pugni la porta d'ingresso. la vedo che piange senza consolazione, nessuno si avvicina. confusione all'interno
- i carabinieri arrivano con la camionetta dietro all'auto di tre ragazzi, e li seguono nel pronto soccorso. confusione all'interno
- matta priva di entrambe le braccia cammina con due protesi di mani che le arrivano alle ginocchia, a causa del fatto che si sono slacciate. mi chiede sigarette, poi si piscia sotto, infine poliziotto la picchia. confusione all'interno
- ho solo una giacca, e la maglietta di cotone. ho freddo. fumo tanto per fare qualcosa, bevo caffè, guardo la gente. confusione all'interno
- arriva un auto. grida dall'abitacolo. ne tirano fuori un vecchio scheletrico che urla ad intervalli costanti. lo depongono su una sedia a rotelle, per condurlo dentro. continua a gridare ritmicamente, tutto naso e pelle. una donna gli prende amorevolmente la testa tra le mani. lui mi guarda demente con occhi di animale terrorizzato. lo portano nel reparto. confusione all'interno.
- pizza mangiata in auto, nel cartone. confusione all'interno (di me)

10 novembre 2011

Un libro, una rivolta

Ho da poco letto Uomini e no, di Vittorini, comprato su una bancarella. Doveva essere la bibliotechina, intonsa, di qualcuno, ormai ceduta via: libri perfetti, mai aperti, tutti Oscar Mondadori. Hanno i bordi delle pagione ingiallite, la colla della rilegatura indurita, profumano di vecchio e di buono. Ne ho comprato qualcun altro. I primi titolli della collana, usciti nel 65, hanno come autori Hemingway, Cassola, Sartre, Buzzati, Steinbeck, Gogol, Wilson, Austen, Greene, Maugham...però, mi dico, non ci sono Coelho e De Carlo, e trovo la cosa consolante.

Giro la copertina del libro di Vittorini. Mi colpisce la descrizione della collana: "Gli Oscar, i libri-transistor che fanno biblioteca. [...] Gli Oscar sono i libri 1965 per gli italiani che lavorano: per gli operai, per i tecnici, per gli impiegati, per i funzionari, per i dirigenti, per i professionisti, per gli studenti, per la famiglia, per tutti i membri attivi e informati della società". Ecco, mi colpisce soprattutto quell'espressione: "per tutti i membri attivi e informati della società".

Sarebbe un buon antidoto in un'epoca e in un paese in cui il libro viene considerato al rango di una fuga dalla realtà per sempliciotti, per comunisti, per ragazzine, adatta a menti troppo romantiche, che non sono in grado di reggere all'urto di una post-modernità così compiaciutamente disordinata e violenta

Sarebbe bello pensare che in Italia la rivolta potesse iniziare dai libri.

09 novembre 2011

Il libro che sto leggendo...

"Adesso però", disse, "sciolta l'assemblea, dobbiamo mettere in pratica le decisioni assunte. Chi di voi vuole rivedere i propri congiunti, si ricordi di essere valoroso: non c'è altra soluzione. Chi vuol salvare la pelle, cerchi di vincere: i vincitori possono uccidere, i vinti solo morire. Chi poi vuole ricchezze, cerchi di prevalere: ai vincitori spetta di salvare i propri beni e di strappare quelli degli avversari".
Senofonte, Anabasi, III, 3, 39

07 novembre 2011

"Voglio guardare in faccia chi mi tradisce"

"Voglio guardare in faccia chi mi tradisce". E' quello che avrebbe detto B. per sfidare la Camera a sfiduciarlo. Mi ha fatto molto pensare: ho rigirato questa frase tra le mie mani, ed essa mi ha mostrato i suoi diversi colori, come un cubo di Rubik che viene mescolato. Me ne sarei già dimenticato, se non fosse la frase che metteva sulla sua bacheca di facebook un mio amico, deputato della Camera nello stesso partito di B.: un ragazzo che ha la mia stessa età, e dunque in fondo ha diritto (ancora) a sbagliare. Ma mi ha fatto tristezza che una persone giovane e intelligente come lui stesse interpretando l'autunno del patriarca (mai letto?) come un capitolo di una saga che racconta la titanica lotta di un uomo solo contro le ostili forze del male.

Forse è per questo che il mio amico ripeteva: "Voglio guardare in faccia chi mi tradisce". Come se questa fosse una chiamata all'ordalia, con il suo grumo di sentimenti di orgoglio paura o desiderio di sangue, con il suo richiamo alla lealtà, o al cupio dissolvi. Come se questo grido di guerra, invitando a scendere sul concreto campo di battaglia della conta parlamentare, potesse opporre delle ragioni a quelle della dell'economia, della storia o del semplice buon senso. "Voglio guardare in faccia chi mi tradisce". Come se l'intervento del solo sguardo, simile al tocco dei re taumaturghi, potesse evitare ciò che non può essere evitato, o fermare la malattia che non può essere curata. Che non è la sfiducia al suo governo, ma una malattia economica, con ragioni storiche e sociali, che non può essere interrotta dal magico intervento di un singolo. Come se la politica prescindesse dalla forza dei fatti, e dallo scricchiolare che le ruote della storia fanno macinando i popoli. O forse no. Forse il mio amico scriveva: "Voglio guardare in faccia chi mi tradisce". Come se il tradimento, i rapporti e la lotta tra personalità, le psicologie, le cordate, le cabale, gli inciuci, fossero tutte categorie della politica. O anche: "Voglio guardare in faccia chi mi tradisce". Come se fosse uno slogan politico. Da mettere sotto il simbolo stampato sulla scheda elettorale. O, più elementarmente, un richiamo di largo respiro: tipo il sol dell'avvenire, bella ciao, o la necessità di avere la quarta sponda sul Mediterraneo.

Oppure no. In fondo, fino a questo punto, avevo prodotto solo interpretazioni benevole. Non ero completamente soddisfatto ma mi sembrava di non essermi allontanato dal puro centro della questione, dove a volte si addensano parole che non sempre si riescono a trovare. Ma poi un pensiero mi ha atterrito e stancato, un pensiero solo. "Voglio guardare in faccia chi mi tradisce". "Voglio guardare in faccia chi mi tradisce". "Voglio guardare in faccia chi mi tradisce"... Come se fosse la frase sindonica, che accoglie, coagula ed espone il sacrificio del Giusto, dopo il Tradimento dei Giuda. Come se fosse "Allahu akbar" sulla bocca di folle sciite, dopo il martirio di Ali. I colpi di kalashnikov sparati contro il cielo. Il grido di folle deliranti.

Questo, solo questo pensiero, mi ha lasciato a confrontarmi da solo con una profonda sfiducia. E mi è passata la voglia di aspettare le buone notizie dei prossimi giorni.

02 novembre 2011

Test letterario



L'aria era più fredda di una bionda.
Queste parole sono tratte da:
a) "La luna e i falò" di C.Pavese
b) "Le foglie morte" di J.Prevert, nella traduzione di M.Cucchi
c) "Il ras del quartiere" di C.Vanzina, con D.Abatantuono

Un libro che ho letto

"In che modo uno spot pubblicitario di successo è in grado di influenzare il telespettatore?"
"Gli fa venire voglia di cambiare il suo modo di vivere."
"In che modo?" chiesi.
"Sposta la sua consapevolezza dalla prima alla terza persona. In questo paese c'è una terza persona universale, l'uomo che tutti vorremmo essere. La pubblicità ha scoperto quest'uomo. E lo usa per rappresentare le possibilità aperte al consumatore. Consumare in America non significa comprare, ma sognare. La pubblicità suggerisce che il sogno di diventare terza persona singolare è effettivamente realizzabile."
"Allora in che cosa si differenzia uno spot televisivo da un film? I film sono pieni zeppi di persone che tutti vorremmo essere."
"La pubblicità non va mai oltre la grandezza naturale. Cerca di non spingersi oltre il confine della fantasia; tanto è vero che spesso prende in giro certi temi dell'immaginario associati in genere ai film. Guarda, non c'è niente al mondo che ti impedisca di salire su un aereo della Eastern e andartene ad Acapulco per vivere due settimane di sesso e avventura con una dattilografa di Iowa City in vacanza. Ma la pubblicità non ti fa mai credere che tu lo possa fare con Ava Gardner. Solo Richard Burton può farlo. Si può cambiare la propria immagine, ma non l'immagine della donna che ci si porta a letto. E la pubblicità ha saputo commercializzare questa distinzione. Siamo riusciti a sfruttare i limiti dei sogni umani. E' la nostra conquista più importante."

Atroce, più moderno del postmoderno. Don DeLillo, Americana, Il Saggiatore Net


01 novembre 2011

La lune

Il diciottesimo arcano maggiore. Proprio come in un piccolo presepe, tante figurine si affollano in un paesaggio notturno, dominato da una luminosa luna crescente, nel quale il tempo sembra essere sospeso: una peschiera, due cani che abbaiano, un paesaggio con torri in lontananza. La scena è delicatamente immobile, come quelle, ingenue, che immaginavo io, bambino, quando mia nonna mi faceva sedere vicino e mi raccontava qualcuna delle sue fiabe in dialetto. La luna incanta gli animali fantastici che dormono sul fondo della peschiera, e li attira verso la superficie. Mia nonna era molto ricettiva, molto dolce: la ricordo ormai protetta dal suo orecchio duro, già abbastanza lontana dalle cose del mondo, muovere incessantemente le labbra, in silenzio, per recitare rosari. La carta della luna è femminile, legata alla nostra immaginazione, alla nostra ricettività. Mia nonna si alzava la mattina prestissimo, per andare in chiesa e pregare all'alba. Ci sono forze profonde, intuizioni, sepolte da qualche parte, che possiamo incantare e riportare a noi. Mia nonna, che mi amava molto, che era pazza di me.